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Guido Keller

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قال أستاذ الشمس في معهد البحوث الفلكية في مصر محمد غريب، أن الحسابات الفلكية تؤكد أن عيد الإضحى المبارك سيحل في الـ11 من أوت/أغسطس القادم.
و أكد غريب أن عيد الأضحى سيكون موحدا على كل الدول الإسلامية خلافا لعيد الفطر، بسبب مدة ظهور الهلال القصيرة، إذ اعتمدت بعض الدول على الحساب الفلكي.

المصدر: “الوطن”

يستعد البطل التونسي في الملاكمة، محمد خلادي، المقيم بإيطاليا منذ 2007، إلى خوض مباراة مثيرة و مصيرية، يوم الأحد 14 جويلية الجاري، ضد الملاكم الإيطالي مارسيلو ماتانو من أجل التتويج بحزام بطل المتوسط.
و في حوار خاص لراديو ارابكا، أكد الخلادي عزمه على تحقيق اللقب، ليهديه فيما بعد إلى بلده تونس و أبنائه و كافة عائلته.
و في ذات السياق، أكد إبن تونس المتألق، رغبته في الإنتصار الذي إعتبره مصيري في حياته الرياضية، بإعتبار تتويجه باللقب يؤهله للمشاركة في المباريات القارية، من جهة أخرى توجها الخلادي، بالشكر و الإمتنان إلى أبناء الجالية التونسية المقيمة في إيطاليا لما قدموه له من مساندة و إحاطة، خاصة و أنه في بلد المهجر و ليس من السهل هناك تحقيق ما وصل إليه من مراتب مشرفة في مجال الملاكمة، حيث إعتبر هذا الدعم حافزا للعودة باللقب، و في السياق ذاته توجها الخلادي، للجالية التونسية بصفة خاصة و العربية بصفة عامة، بالدعوة لحضور المباراة، علما و أن الدخول سيكون مجاني.
يجدر الإشارة أن راديو ارابكا ستكون في نقل مباشر و خاص للمباراة.

جانب من استعدادات محمد خلادي لمباراة 14 جويلية

اكد اليوم الرئيس المدير العام للخطوط التونسية الياس المنكبي انه سيتم تشكيل لجنة جديدة لمراقبة أمتعة المسافرين بمختلف المطارات التونسية متكونة من الشرطة والديوانة و ذلك من اجل الحد من عمليات السرقة التي طالت عدد من المسافرين في مطار تونس قرطاج.

واضاف المنكبي انه تعرض بدوره في احدى السفرات الى عملية سرقة طالت امتعته، مشيرا في الوقت ذاته الى انخفاض عدد عمليات السرقة من 2016 شكاية سنة 2013 الى 270 عملية سرقة خلال سنة 2018.

أعلن رئيس الحكومة يوسف الشاهد عبر حسابه على التويتر، عن عزمه تعزيز صلة التونسيين بالخارج مع المنظومة الإقتصادية التونسية .
وفي هذا الإطار قررت الحكومة إعتماد إجراءات تحفيزية  لتشجيع التونسيين بالخارج على توظيف مدخراتهم بالعملة وبالدينار القابل للتحويل، بحسابات مفتوحة لدى البنوك التونسية.
و أيضا الضغط على الرسوم والمعاليم البنكية الموظفة على تحويلاتهم المالية من الخارج نحو تونس.

مريم فريح.

حققت كلية الحقوق والعلوم السياسية تونس المنار حلم الطالبة شادية القاسمي و قامت بتكريم روحها وعائلتها وهي في مثواها الأخير ..
حيث قامت الجامعة يوم أمسالاربعاء بمنح الفقيدة شهادة الماجستير عن موضوع مذكرتها “الطلاق للإعسار” ..
يجدر أن شادية أصرت على تحقيق حلمها رغم ما فعله بها المرض،

رحم الله شادية و رزق أهلها و ذويها جميل الصبر و السلوان �

بدأ رجل إيطالي في الخمسينيات من عمره بتوجيه “إهانات وألفاظ نابية و شتائم عنصرية” إلى امرأة عربية كانت حاملاً لأنها إصطدمت به على وجه الخطأ في الترام خط 4، ما جعلها تغضب و تنهار على الأرض .. قائلة: “أنا حامل، أشعر بالغثيان”.

توقف القطار وأثناء قيام المراقبين بإبقاء الرجل في وضع حرج، أنقذ السائق المرأة. و تدخلت الشرطة، لكن الرجل استمر في الصراخ وهو يردد: “أنا سأبلغ ضدكم جميعًا”.
وصلت سيارة الإسعاف بعد عشر دقائق ونقلت المرأة في درجة خطر “بطاقة خضراء” إلى مستشفى” سانت آنا”

أستشهد مدني فجر اليوم يدعى كريم بالأخضر متأثرا بجروح بليغة إثر التفجير الإنتحاري الذي إستهدف دورية أمنية بشارل شارل ديغول بالعاصمة التونسية، ليرتفع بذلك عدد الشهداء إلى إثنين وفق تأكيد المتحدث باسم وزارة الداخلية التونسية العميد سفيان الزعق.

di Guido Keller –

Se non è guerra commerciale, poco ci manca. Dopo che il presidente Usa Donald Trump ha firmato il decreto sui dazi per alcuni beni importanti dalla Cina, in particolare acciaio (25%) ed alluminio (10%), oggi è arrivata la risposta del governo di Pechino, che ha fatto altrettanto per 128 categorie di merci, compreso generi alimentari quali carne di maiale e frutta, per un totale di 3 miliardi di dollari.
La mossa di Trump ha sì un valore protezionistico finalizzato a tutelare la produzione e quindi i posti di lavoro negli Stati Uniti, ma nel contempo si abbatte come una scure sul settore delle esportazioni per l’elementare legge della risposta simmetrica.
In questi giorni si sono svolti negoziati tra le due parti per giungere ad un accordo, a quanto pare però senza risultato, e con la contromisura adottata oggi il ministero del Commercio cinese si è posto l’obiettivo di fare pressioni sull’amministrazione Trump per arrivare ad una revisione della politica protezionistica.
Lo stesso ministero ha annunciato nei giorni scorsi che in un primo momento sarebbero stati applicati dazi del 15 per cento a 120 categorie di beni, ma in caso di mancato effetto, si sarebbero aggiunti altri prodotti con un’imposizione del 25 per cento.
Trump, che ancora non ha escluso di fare altrettanto con l’Unione Europea (ha spiegato che “l’Unione Europea ha barriere: loro possono fare affari con noi ma noi non possiamo fare affari con loro, non è equo”), nei giorni scorsi ha spiegato che “Ho chiesto loro (ai cinesi, ndr.) di ridurre immediatamente il deficit commerciale di 100 miliardi di dollari. E di certo non va bene se gli altri tassano del 25% una nostra auto e noi tassiamo una loro auto del 2%…. ecco come ha fatto la Cina a ricostruire….”.
C’è da dire che effettivamente il surplus della Cina verso gli Usa è di circa 300 miliardi, pari al 65% del totale, ma il contenzioso a suon di dazi è destinato a ingrandirsi, anche perché l’amministrazione Trump intende arrivare ad una tassazione complessiva per 60 miliardi di dollari, con 1.300 beni provenienti dalla Cina da tassare.

di Guido Keller –

Se non è guerra commerciale, poco ci manca. Dopo che il presidente Usa Donald Trump ha firmato il decreto sui dazi per alcuni beni importanti dalla Cina, in particolare acciaio (25%) ed alluminio (10%), oggi è arrivata la risposta del governo di Pechino, che ha fatto altrettanto per 128 categorie di merci, compreso generi alimentari quali carne di maiale e frutta, per un totale di 3 miliardi di dollari.
La mossa di Trump ha sì un valore protezionistico finalizzato a tutelare la produzione e quindi i posti di lavoro negli Stati Uniti, ma nel contempo si abbatte come una scure sul settore delle esportazioni per l’elementare legge della risposta simmetrica.
In questi giorni si sono svolti negoziati tra le due parti per giungere ad un accordo, a quanto pare però senza risultato, e con la contromisura adottata oggi il ministero del Commercio cinese si è posto l’obiettivo di fare pressioni sull’amministrazione Trump per arrivare ad una revisione della politica protezionistica.
Lo stesso ministero ha annunciato nei giorni scorsi che in un primo momento sarebbero stati applicati dazi del 15 per cento a 120 categorie di beni, ma in caso di mancato effetto, si sarebbero aggiunti altri prodotti con un’imposizione del 25 per cento.
Trump, che ancora non ha escluso di fare altrettanto con l’Unione Europea (ha spiegato che “l’Unione Europea ha barriere: loro possono fare affari con noi ma noi non possiamo fare affari con loro, non è equo”), nei giorni scorsi ha spiegato che “Ho chiesto loro (ai cinesi, ndr.) di ridurre immediatamente il deficit commerciale di 100 miliardi di dollari. E di certo non va bene se gli altri tassano del 25% una nostra auto e noi tassiamo una loro auto del 2%…. ecco come ha fatto la Cina a ricostruire….”.
C’è da dire che effettivamente il surplus della Cina verso gli Usa è di circa 300 miliardi, pari al 65% del totale, ma il contenzioso a suon di dazi è destinato a ingrandirsi, anche perché l’amministrazione Trump intende arrivare ad una tassazione complessiva per 60 miliardi di dollari, con 1.300 beni provenienti dalla Cina da tassare.

di Guido Keller –

Se non è guerra commerciale, poco ci manca. Dopo che il presidente Usa Donald Trump ha firmato il decreto sui dazi per alcuni beni importanti dalla Cina, in particolare acciaio (25%) ed alluminio (10%), oggi è arrivata la risposta del governo di Pechino, che ha fatto altrettanto per 128 categorie di merci, compreso generi alimentari quali carne di maiale e frutta, per un totale di 3 miliardi di dollari.
La mossa di Trump ha sì un valore protezionistico finalizzato a tutelare la produzione e quindi i posti di lavoro negli Stati Uniti, ma nel contempo si abbatte come una scure sul settore delle esportazioni per l’elementare legge della risposta simmetrica.
In questi giorni si sono svolti negoziati tra le due parti per giungere ad un accordo, a quanto pare però senza risultato, e con la contromisura adottata oggi il ministero del Commercio cinese si è posto l’obiettivo di fare pressioni sull’amministrazione Trump per arrivare ad una revisione della politica protezionistica.
Lo stesso ministero ha annunciato nei giorni scorsi che in un primo momento sarebbero stati applicati dazi del 15 per cento a 120 categorie di beni, ma in caso di mancato effetto, si sarebbero aggiunti altri prodotti con un’imposizione del 25 per cento.
Trump, che ancora non ha escluso di fare altrettanto con l’Unione Europea (ha spiegato che “l’Unione Europea ha barriere: loro possono fare affari con noi ma noi non possiamo fare affari con loro, non è equo”), nei giorni scorsi ha spiegato che “Ho chiesto loro (ai cinesi, ndr.) di ridurre immediatamente il deficit commerciale di 100 miliardi di dollari. E di certo non va bene se gli altri tassano del 25% una nostra auto e noi tassiamo una loro auto del 2%…. ecco come ha fatto la Cina a ricostruire….”.
C’è da dire che effettivamente il surplus della Cina verso gli Usa è di circa 300 miliardi, pari al 65% del totale, ma il contenzioso a suon di dazi è destinato a ingrandirsi, anche perché l’amministrazione Trump intende arrivare ad una tassazione complessiva per 60 miliardi di dollari, con 1.300 beni provenienti dalla Cina da tassare.

di Guido Keller –

Se non è guerra commerciale, poco ci manca. Dopo che il presidente Usa Donald Trump ha firmato il decreto sui dazi per alcuni beni importanti dalla Cina, in particolare acciaio (25%) ed alluminio (10%), oggi è arrivata la risposta del governo di Pechino, che ha fatto altrettanto per 128 categorie di merci, compreso generi alimentari quali carne di maiale e frutta, per un totale di 3 miliardi di dollari.
La mossa di Trump ha sì un valore protezionistico finalizzato a tutelare la produzione e quindi i posti di lavoro negli Stati Uniti, ma nel contempo si abbatte come una scure sul settore delle esportazioni per l’elementare legge della risposta simmetrica.
In questi giorni si sono svolti negoziati tra le due parti per giungere ad un accordo, a quanto pare però senza risultato, e con la contromisura adottata oggi il ministero del Commercio cinese si è posto l’obiettivo di fare pressioni sull’amministrazione Trump per arrivare ad una revisione della politica protezionistica.
Lo stesso ministero ha annunciato nei giorni scorsi che in un primo momento sarebbero stati applicati dazi del 15 per cento a 120 categorie di beni, ma in caso di mancato effetto, si sarebbero aggiunti altri prodotti con un’imposizione del 25 per cento.
Trump, che ancora non ha escluso di fare altrettanto con l’Unione Europea (ha spiegato che “l’Unione Europea ha barriere: loro possono fare affari con noi ma noi non possiamo fare affari con loro, non è equo”), nei giorni scorsi ha spiegato che “Ho chiesto loro (ai cinesi, ndr.) di ridurre immediatamente il deficit commerciale di 100 miliardi di dollari. E di certo non va bene se gli altri tassano del 25% una nostra auto e noi tassiamo una loro auto del 2%…. ecco come ha fatto la Cina a ricostruire….”.
C’è da dire che effettivamente il surplus della Cina verso gli Usa è di circa 300 miliardi, pari al 65% del totale, ma il contenzioso a suon di dazi è destinato a ingrandirsi, anche perché l’amministrazione Trump intende arrivare ad una tassazione complessiva per 60 miliardi di dollari, con 1.300 beni provenienti dalla Cina da tassare.

di Guido Keller –

Se non è guerra commerciale, poco ci manca. Dopo che il presidente Usa Donald Trump ha firmato il decreto sui dazi per alcuni beni importanti dalla Cina, in particolare acciaio (25%) ed alluminio (10%), oggi è arrivata la risposta del governo di Pechino, che ha fatto altrettanto per 128 categorie di merci, compreso generi alimentari quali carne di maiale e frutta, per un totale di 3 miliardi di dollari.
La mossa di Trump ha sì un valore protezionistico finalizzato a tutelare la produzione e quindi i posti di lavoro negli Stati Uniti, ma nel contempo si abbatte come una scure sul settore delle esportazioni per l’elementare legge della risposta simmetrica.
In questi giorni si sono svolti negoziati tra le due parti per giungere ad un accordo, a quanto pare però senza risultato, e con la contromisura adottata oggi il ministero del Commercio cinese si è posto l’obiettivo di fare pressioni sull’amministrazione Trump per arrivare ad una revisione della politica protezionistica.
Lo stesso ministero ha annunciato nei giorni scorsi che in un primo momento sarebbero stati applicati dazi del 15 per cento a 120 categorie di beni, ma in caso di mancato effetto, si sarebbero aggiunti altri prodotti con un’imposizione del 25 per cento.
Trump, che ancora non ha escluso di fare altrettanto con l’Unione Europea (ha spiegato che “l’Unione Europea ha barriere: loro possono fare affari con noi ma noi non possiamo fare affari con loro, non è equo”), nei giorni scorsi ha spiegato che “Ho chiesto loro (ai cinesi, ndr.) di ridurre immediatamente il deficit commerciale di 100 miliardi di dollari. E di certo non va bene se gli altri tassano del 25% una nostra auto e noi tassiamo una loro auto del 2%…. ecco come ha fatto la Cina a ricostruire….”.
C’è da dire che effettivamente il surplus della Cina verso gli Usa è di circa 300 miliardi, pari al 65% del totale, ma il contenzioso a suon di dazi è destinato a ingrandirsi, anche perché l’amministrazione Trump intende arrivare ad una tassazione complessiva per 60 miliardi di dollari, con 1.300 beni provenienti dalla Cina da tassare.

di Guido Keller –

Se non è guerra commerciale, poco ci manca. Dopo che il presidente Usa Donald Trump ha firmato il decreto sui dazi per alcuni beni importanti dalla Cina, in particolare acciaio (25%) ed alluminio (10%), oggi è arrivata la risposta del governo di Pechino, che ha fatto altrettanto per 128 categorie di merci, compreso generi alimentari quali carne di maiale e frutta, per un totale di 3 miliardi di dollari.
La mossa di Trump ha sì un valore protezionistico finalizzato a tutelare la produzione e quindi i posti di lavoro negli Stati Uniti, ma nel contempo si abbatte come una scure sul settore delle esportazioni per l’elementare legge della risposta simmetrica.
In questi giorni si sono svolti negoziati tra le due parti per giungere ad un accordo, a quanto pare però senza risultato, e con la contromisura adottata oggi il ministero del Commercio cinese si è posto l’obiettivo di fare pressioni sull’amministrazione Trump per arrivare ad una revisione della politica protezionistica.
Lo stesso ministero ha annunciato nei giorni scorsi che in un primo momento sarebbero stati applicati dazi del 15 per cento a 120 categorie di beni, ma in caso di mancato effetto, si sarebbero aggiunti altri prodotti con un’imposizione del 25 per cento.
Trump, che ancora non ha escluso di fare altrettanto con l’Unione Europea (ha spiegato che “l’Unione Europea ha barriere: loro possono fare affari con noi ma noi non possiamo fare affari con loro, non è equo”), nei giorni scorsi ha spiegato che “Ho chiesto loro (ai cinesi, ndr.) di ridurre immediatamente il deficit commerciale di 100 miliardi di dollari. E di certo non va bene se gli altri tassano del 25% una nostra auto e noi tassiamo una loro auto del 2%…. ecco come ha fatto la Cina a ricostruire….”.
C’è da dire che effettivamente il surplus della Cina verso gli Usa è di circa 300 miliardi, pari al 65% del totale, ma il contenzioso a suon di dazi è destinato a ingrandirsi, anche perché l’amministrazione Trump intende arrivare ad una tassazione complessiva per 60 miliardi di dollari, con 1.300 beni provenienti dalla Cina da tassare.

Secondo quanto trapelato da indiscrezioni del New York Times, rimbalzate sui principali media internazionali, Donal Trump continua il rimpasto del suo staff. Questa volta a mollare è stato il generale H.R. McCaster, attuale consigliere per la sicurezza nazionale. A rimpiazzarlo ci penserà John R. Bolton, ex rappresentante permanente per gli Stati Uniti alle Nazioni Unite tra il 2005 e il 2006, principale sostenitore dell’invasione dell’Iraq nel 2013 sotto l’amministrazione Bush ed ancora delle operazioni in Libia, Siria ed Iran. Visioni tanto intransigenti che gli hanno fatto guadagnare il soprannome di “ambasciatore con l’elmetto”.
In molti vedono in quest’ultima sostituzione, l’ennesimo scossone da parte del Tycoon alla sua squadra diplomatica che con Bolton assume un ruolo sicuramente tutt’altro che pacifista, in particolare nei confronti di Corea del Nord ed Iran. La settimana scorsa Trump aveva già licenziato il segretario di Stato, Rex Tillerson, sostituito da Mike Pompeo, membro del Tea Party e direttore della CIA. Anche Pompeo, come membro del Congresso, si era espresso favorevolmente all’intervento militare in Corea del Nord ed aveva consigliato al presidente Trump di stralciare il tanto discusso accordo con l’Iran sul nucleare.
Questi ultimi cambiamenti arrivano proprio prima del meeting con Kim Jong Un, in programma per il prossimo maggio. In molti stanno già criticando The Donald per la sua evoluzione, se infatti all’inizio aveva conquistato i suoi elettori promettendo che con lui gli Usa non sarebbero più stati il gendarme del mondo, e che si sarebbe concentrato principalmente sulla politica interna, ora lo slogan sembra tornare ad essere quello di sempre: “military first”. Tuttavia inutile essere allarmati, o fare previsioni su cosa accadrà, perché con Trump già domani tutto potrebbe essere già cambiato.

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